

“Il volto di Tina è nobile, maestoso, esaltante. Il volto di una donna che ha sofferto, che ha conosciuto morte e delusione, che si è venduta ai ricchi e donata ai poveri … la cui maturità deriva dall’esperienza amara e dolce allo stesso tempo di chi ha vissuto intensamente, profondamente e senza paura”. Con queste parole il fotografo americano Edward Weston descrisse nel suo diario il senso di mistero emanato dal viso di Tina Modotti (Udine 1896 – Città del Messico 1942), fotografa e “pasionaria”, che con lui visse dal 1923 al 1929nella capitale messicana, condividendo ricerca fotografica e passione sociale e politica. Sono passati settantadue anni dalla sua morte, avvenuta misteriosamente su un taxi a Città del Messico: una vita breve ma molto intensa e movimentata, che forse più della sua interessantissima produzione fotografica continua ad essere oggetto di attenzione da parte di scrupolosi biografi e fantasiosi romanzieri, tanto da aver rivestito il suo personaggio con i panni del “mito”.
Eppure, in un suo appunto, Tina scriveva: “Mi considero una fotografa e niente altro e se le mie fotografie si differenziano da quelle generalmente prodotte è che io non cerco di fare dell’arte, ma delle buone fotografie, senza trucco e senza manipolazione”. Pioniera del reportage sociale, puntò il suo obiettivo sugli strati più disagiati della popolazione messicana; le sue immagini, a volte crude, ma a volte tenerissime, sono tangibile testimonianza della forte solidarietà che la legò ai poveri e all’infanzia; non fu insensibile al fascino della pittura muralista, stringendo amicizia con i suoi esponenti di spicco, come Diego Rivera, il quale in un articolo volle con grande anticipo obiettare a chi avrebbe continuato ad affermare (anche in tempi recenti) che le foto della Friulana a volte erano indistinguibili da quelle di Weston, che l’opera della Modotti è “probabilmente più astratta, più eterea, e forse anche più intellettuale di quella di Weston”.

Meritoriamente Torino, con la mostra “Tina Modotti. Retrospettiva” allestita nella Corte Medievale di Palazzo Madama (bellissimo il catalogo di Silvana Editoriale, con testi di Pino Cacucci, Mariana Figarella e Gianni Pignat) e curata da Dario Cimorelli e Riccardo Costantini, rende omaggio a questa grande fotografa, una delle personalità più eclettiche del secolo scorso; l’esposizione copre tutto l’arco della vita di Tina, come fotografa, come musa e come attivista, ricostruendo sia la sua straordinaria parabola artistica – che la vide prima attrice di teatro e di cinema in California e poi fotografa nel Messico post-rivoluzionario degli anni venti – sia la sua non comune vicenda umana. Le foto esposte, provenienti dall’Archivio Modotti di Cinema Zero di Pordenone, rappresentano l’insieme del suo lavoro di fotografa, il frutto di una visione chiara e appassionata, in perenne conflitto fra la creazione artistica (che, sia pure “inconsapevolmente”, è alla base di tante sue splendide e raffinate immagini) e l’impegno civile. Un conflitto che Weston sintetizzava con queste parole: “L’arte non può esistere senza la vita, lo ammetto, ma nel mio caso la vita è sempre in lotta per il predominio e l’arte ne soffre”. Parole che sembrano cucite addosso anche alla figura e all’opera della indimenticabile Tina.

In piena civiltà dell’immagine, quando anche le più terribili testimonianze visive rischiano di non oltrepassare il muro dell’indifferenza, di fermarsi al di qua della soglia dell’attenzione, le fotografie di Tina Modotti riescono ancora a “bucare” lo schermo opaco dell’abitudine, emozionando con la loro forza e bellezza. Sono immagini che parlano di un rapporto raro, nella storia della fotografia, tra vita e visione, tra bellezza ed etica, grazie all’impareggiabile sintesi di ricerca formale e impegno sociale, che è tuttora obiettivo “alto” in qualsiasi campo artistico e nella moderna comunicazione visiva. Continua ad avvolgere la figura di Tina un alone di romanzo, come se la sua biografia (a cui si dedicano da anni tanti studiosi) fosse, in tutto o in parte, non un tracciato di vita veramente vissuta, ma un’invenzione continuamente alimentata dall’immaginario collettivo; come scriveva Valentina Agostinis, circa venti anni fa, in un bel libro pubblicato dalle Edizioni dell’Immagine di Cinemazero, “la sua biografia, scritta più volte, raccontata da più voci, non è mai lei. La sua vita è così potente perché è un enigma. Da un certo punto in poi, infatti, Tina tace, la sua singolarità si confonde totalmente con l’azione”. Restano le sue foto, è lì forse che bisogna attingere per ricostruire il suo percorso esistenziale, fatto di grandi impeti ma anche da urgenze immediate di intervento più diretto nella vita reale. Ma la forma creativa e comunicativa del suo “impegno” totale, da lei scoperta e praticata lungo tutto il percorso della sua vita, è “centrale” nel suo modo di esprimersi e di essere. La fotografia le crea esaltazioni, ma anche “rimorsi”, come si evince da una lettera a Weston del 1929, in cui scrive: “A volte penso che sarebbe più onesto da parte mia rinunciare a tutte le pretese e non fare più fotografia, al di fuori del puro lavoro commerciale con i ritratti. Tuttavia è un sacrificio e mi fa male al solo pensiero, così continuo, ma i risultati non mi soddisfano mai”.
Michele De Luca
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- Fotografia, passione, rivoluzione
- TINA MODOTTI
- Retrospettiva
- 1 maggio – 5 ottobre 2014
- Torino, Palazzo Madama
- Le immagini ad uso stampa per la promozione della mostra “Tina Modotti. Retrospettiva” devono essere sempre accompagnate dalla didascalia della fotografia e dalla citazione dei credits “Archivio Fotografico Cinemazero Images, Fondo Tina Modotti”. Per l’utilizzo di altre fotografie o altre richieste e specifiche pregasi contattare: cinemazero.ufficiostampa@gmail.com